Tutti, a Palmadula, sapevano di quella casa finita all’asta giudiziaria. Niente di che, una manciata di metri quadrati segnati dal tempo, soffitti ricamati da crepe, un terreno zeppo di erbacce. Ma le due anziane sorelle, Anna e Paola Zara, a quelle quattro mura ci sono legate dall’infanzia.
«Era di babbo – dicono – veniva qui a piedi dall’Argentiera». Nelle stanze ci sono ancora i mobili di famiglia e loro adesso ci gestiscono un piccolo bar. Ecco perché a quell’asta, tra i compaseani, non si è presentato mai nessuno. Perché delle trecento anime di Palmadula, nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di fare un simile torto.
Eppure quella casa adesso ha un nuovo proprietario, perché dal curatore fallimentare si è presentato un acquirente del tutto inaspettato. «Quando l’ho visto non volevo credere ai miei occhi – dice Luca Massetti, figlio di Anna – era padre Alberto Azzeris Moretti, il parroco della nostra borgata».
Nella sua busta chiusa c’erano 55 mila euro, contro i 35 della famiglia Massetti-Zara. L’asta è partita proprio da quella cifra, e con un paio di rilanci pesanti il sacerdote si è aggiudicato il bene per 80mila euro. I diretti concorrenti si sono arresi a 71mila. «Mai ci saremmo aspettati una simile pugnalata dal nostro prete», dicono loro.
«Io mi sono presentato a quell’asta in qualità di privato cittadino, non di sacerdote – ribatte lui – e come privato cittadino ho il diritto di investire i miei soldi come meglio ritengo. Senza dare spiegazioni a nessuno. Da quel rudere realizzerò una residenza per anziani che in futuro donerò alla diocesi».
La lettera al Papa. Naturalmente era impossibile che una simile storia si consumasse nei confini di una minuscola borgata. Luca Massetti, non sapendo a che santo affidarsi per riavere la casa di famiglia, ha pensato di bussare molto in alto, direttamente da Papa Francesco. Ha preso carta e penna e ha scritto: «Mi scusi se mi permetto di disturbarla, ma a volte la disperazione fa fare cose che altrimenti normalmente non si farebbero. Mi rivolgo a lei dopo aver letto una sua frase sul giornale l’Avvenire: “preti e suore siano liberi da idolatria di potere e denaro”». E in tre fogli gli racconta per filo e per segno tutta la vicenda.
La casa all’asta. L’aveva comprata 80 anni fa il nonno. Poi il proprietario era diventato uno zio, morto improvvisamente nel 1995, senza testamento ma con una lunga scia di debiti. I familiari non trasferiscono subito la proprietà e la casa viene requisita dal tribunale. Il valore del bene stimato è di 129mila euro. Così i familiari cercano di recuperare i soldi, contattano il curatore fallimentare manifestando l’interesse a riacquistare l’immobile, e nel frattempo aspettano che, dopo qualche asta deserta, il prezzo diventi abbordabile. Sembra che con 35mila euro l’affare si possa chiudere. Ma mesi fa, chiedendo informazioni presso la cancelleria del Tribunale, gli ex proprietari scoprono che la loro offerta non è più l’unica. Qualcun altro si era fatto avanti.
Il parroco. Padre Alberto lascia andare le parole con stupefacente pacatezza. Sembra pesarle una per una, prima di consegnarle. Dentro magari ribolle, perché questo clamore lo infastidisce, ma il suo eloquio scolpito nel granito non viene scalfito. Il dubbio di aver sbagliato, di aver commesso una scorrettezza, non lo ha mai sfiorato. Domanda: è a posto con la sua coscienza? «La mia coscienza è limpidissima: quella casa apparteneva al tribunale. Io non ho danneggiato nessuno, mica stiamo parlando di una famiglia che ha perso la casa e resta per strada». Domanda: lei conosceva bene signora Anna e i suoi familiari, andava spessissimo a casa sua a cena. Come si è sentito quando se li è ritrovati dal curatore? «Io non ero lì per guardare le loro facce, mi trovavo lì per un bene sul quale avevo intenzione di investire da tempo. All’asta precedente la mia offerta di 120mila euro era arrivata fuori tempo. Questa volta sono andato fino in fondo». Domanda: la gente in paese dice che un prete dovrebbe dare il buon esempio e non comportarsi così. «Io mi sono speso tantissimo per questa comunità. Se la chiesa è così bella è per merito mio. Ci ho investito i miei soldi, senza chiedere niente a nessuno. Ed ero in prima linea per difendere l’ufficio postale e per istituire una fermata dei pullman a La Corte. Non mi si può accusare di rinchiudermi come un gufo nella sua tana. Ma quando smetto la tonaca, sono un privato cittadino come gli altri. Pago le tasse, ho una tessera sanitaria, rispetto la legge, non danneggio nessuno e ho il diritto di partecipare a un’asta». Domanda: la lettera al Papa la preoccupa? «Assolutamente no. Della vicenda è al corrente anche il vescovo Paolo Atzei che non ha avuto niente da eccepire sulla mia condotta».